Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Abnegazione


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Premessa. Nel linguaggio comune a. è una parola che incontra forti resistenze. Dimenticare se stessi, non tener conto dei propri gusti e dei propri interessi, sacrificarsi per gli altri sono espressioni che nella pratica di vita non superano i limiti della « solidarietà » o del « volontariato ». L'impegno per gli altri spesso è assunto come realizzazione dei propri ideali di filantropia umana. La rinuncia da parte dell'uomo a tutto ciò che vi è di egoistico nei suoi desideri o il livello di superamento della stessa dimenticanza di sé a favore degli altri, se è entrato anche nel linguaggio profano, deve la sua origine al vocabolario dell'ascetismo cristiano. Lo stesso attuale uso profano del termine viene dal Vangelo.

I. Nella spiritualità cristiana le nozioni di a. sono numerose e molto imparentate tra loro: rinuncia, spogliamento di sé, distacco, astinenza, nudità spirituale, morte al mondo e a se stessi, disappropriazione, mortificazione, umiltà, obbedienza. Ovviamente la nozione di a. dev'essere maggiormente precisata per distinguerla dalle altre sopra elencate.
Una cosa è la rinuncia a tutto ciò che di esteriore possediamo: beni materiali, amicizia, stima o anche ciò che appartiene al bene del nostro corpo, gioie sensibili; altra cosa è la rinuncia a se stessi, a quanto c'è di più intimo e personale, a ciò che noi siamo.
Celebre è un'espressione di s. Gregorio Magno: « Ivi (Lc 9,23) si dice di rinunciare alle nostre cose, qui (Lc 14,33) si dice di rinunciare a noi stessi. Di certo non è molto faticoso per l'uomo rinunciare alle sue proprietà, molto di più lo è rinunciare a se stesso. Infatti, minore è la rinuncia a ciò che possiede, molto di più la rinuncia a ciò che è ».1

Se vogliamo esprimere il concetto di a. con il termine rinuncia, allora rinunciare significa essere sottoposti al piano di Dio e non essere posti al centro dei propri interessi. Usata nel suo senso completo, a. non è altro che ciò che elimina ogni pericoloso equivoco. Per questa ragione, essa diventa quella disposizione dell'anima che facilita la pratica di tutte le altre virtù, in ciò che queste hanno di contrario all'amor proprio e all'egoismo. Rinunciare, dunque, a tutto, se stessi compresi, per il tutto che è Dio. 2

II. Nella Sacra Scrittura. La dottrina dell'a. ha il suo punto essenziale di partenza in Cristo. La presentazione di essa ci viene offerta dai Vangeli sinottici: Mc 8,34; Mt 16,24?26; Lc 9,23?25, dove è collocata nel medesimo contesto così riassumibile: la confessione di Pietro a Cesarea di Filippi, la predizione da parte di Gesù della sua passione, l'annuncio del giudizio e la narrazione della trasfigurazione sul monte. E necessario annotare che l'a. di se stessi per diventare discepoli di Gesù, introduce nel mistero della sofferenza e della croce. Sono appunto le formule evangeliche con le quali l'a. viene espressa a predisporre una tale introduzione: rinnegare se stessi; portare la propria croce; perdere la propria vita. « Portare la croce » ha il senso di « camminare, andare al supplizio ». E Luca aggiunge: ogni giorno. La richiesta è quella del distacco totale.

La croce di Cristo è nel credente, oltre che il segno della sua gloria anticipata (cf Gv 12,26), la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Nella vita quotidiana, l'uomo vecchio dev'essere crocifisso (cf Rm 6,6) perché sia pienamente liberato dal peccato. E solo Cristo a disporre del credente e se questi vuol essere suo discepolo deve giungere alla rinuncia totale di sé e dei propri pre?definiti traguardi. In Giovanni (12,24?26), il tema della rinuncia viene proposto nella parabola del grano che cade in terra, dove la novità consiste in questo: morire per vivere oppure morire per portare frutto. Gesù stesso ne fa l'esperienza nell'agonia del Getsemani, perché la passione è il termine essenziale della missione che egli ha accettato per la gloria del Padre. Seguire Gesù nella rinuncia di se stessi significa condividere il suo destino, le sue prove, la sua passione; essere disponibile non solo al sacrificio dei beni temporali, ma anche della persona stessa.

Il fondamento ultimo dell'a. è la carità di Dio e del prossimo (cf Rm 15,1?3; 1 Cor 10,32?11 10; 32?11,1; 13,15; Fil 2,4; 2,21). Esiste una sola carità: essa ci fa amare Dio e i nostri fratelli per Dio; altrettanto esiste un'a. che fa dimenticare se stessi per Dio e per i fratelli a motivo di Dio. Accanto al fondamento esistono anche dei limiti: non si può rinunciare ad aver diritto ai mezzi essenziali per la propria salvezza e santificazione. La misura dell'a. più ampia è l'amore sovrano di Dio.

III. A. e mistica. Fino a che punto si deve rinunciare non solo ai beni materiali (cf Mt 19,21) ma a se stessi fino al massimo livello di umiltà per essere come Cristo obbedienti fino alla morte? (cf Lc 9,23 e par.; 22,26ss.; Fil 2,6-11). Gli autori spirituali parlano di « gradi »: dal distacco dal peccato mortale fino a quello da ogni piccola imperfezione. L'a. è il prezzo che il credente paga: è la croce quotidiana. La grazia di Dio gli è indispensabile per realizzarla; solo se mosso da essa può avere la certezza di raggiungere questa meta evangelica. Fuori della grazia niente gli è possibile: per questo motivo non deve mai tentare di precederla o di andare oltre ad essa se vuole evitare il rischio dell'illusione e dello scoraggiamento in un cammino tanto duro e faticoso.

L'aiuto divino non è tanto un momento consolatorio; è la forza interiore che conduce alla perseveranza; è soprattutto certezza interiore della vita di unione con Dio e della costante crescita nella propria conformità a Cristo. Ciò avviene mediante l'oscurità della fede, la vera croce di « ogni giorno » da portare sulle proprie spalle per essere autentici seguaci di Cristo, che quotidianamente, dalla grotta di Betlemme fino al Calvario, ha vissuto la sua « condizione di servo » obbediente, immolando se stesso.

In questa prospettiva l'a. diventa la liberazione della carità, dell'agape. In essa, dilatato il cuore, ogni paura sarà eliminata e i momenti critici, soprattutto agli inizi di questo cammino, potranno essere superati. L'anima sarà come immersa nell'umiltà della sua pochezza e nella potenza della presenza di Dio. In questa piena verità delle cose metterà in pratica la fatica dell'a. per amore di Cristo, per abitudine al bene, per il gusto proveniente dalle virtù, nella pace e gioia interiore.

Note: 1 Cf Gregorio Magno, Hom. in Evang. 32, n.1: PL 76, 1233; 2. Cf J. de Guibert, Notion précise et doctrine de l'abnégation, in DSAM I, 102?104.

Bibl. J. Behem?Würthwein, Metanoeo, Metanoia, in GLNT VII, 1106?1195; G. Bertram, Strepho, in GLNT XII, 77?138; J. de Guibert, s.v., in DSAM I, 67?110; C. Di Sante, La conversione: verso una personalità rinnovata, Roma 1985; J. Dupont, Studi sugli Atti degli Apostoli, Roma 1971, 717?814; K. Rahner, Conversione, in Sacramentum Mundi, II, cura di K. Rahner, Brescia 1974, 622?632; A. Tosato, Per una revisione degli studi sulla metanoia neotestamentaria, in RivBib 23 (1975), 3?46.

Autore: C. Morandin
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)