Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Ebraica (lingua)


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Appartiene al ceppo semitico nord-occidentale. La sua storia è intimamente connessa con la Bibbia, ma non si esaurisce in essa, dato che la nostra Bibbia ebraica mostra solamente uno stadio dell'e., quello trasmesso dai Masoreti. Per descrivere quindi questa storia bisogna ricorrere anche alle fonti extrabibliche, oppure bibliche ma extramasoretiche, e alle lingue vicine.
Le fonti extrabibliche sono per l'antichità assai scarse, riducendosi solo a pochi testi che presentano una certa lunghezza. Notevoli il calendario di Gezer, la stele di Mesa (in lingua moabitica, assai vicina all'e.), l'iscrizione di Siloe, le lettere di Lachis, infine le iscrizioni sugli ostraca. Oggi hanno preso rilevante importanza i testi ebraici premasoretici sia biblici che extrabiblici trovati da poco presso il Mar Morto. In essi con le loro matres lectionis abbiamo una tradizione che in diversi punti si stacca dalla masoretica e può essere anche più autorevole. Anzi oggi c'è la tendenza di utilizzare molto tal uni dei così detti ketib, trasmessi nel testo masoretico, quali testimoni di una tradizione non più accettata dai masoreti ma più antica.
Le lingue vicine sono principalmente: la lingua di Mari (v.) (a riguardo della quale Albright asserisce che ha un vocabolario e costruzioni grammaticali molto più vicine all'e. che le corrispondenti dell'ugaritico; cf. JBL, 58 [1939] 101: altri però parlano con più riserbo), l'ugaritico (v.), il fenicio (oggi arricchito per il suo stadio più antico dalle iscrizioni di Karatepe) il dialetto di Ia'udi (Siria settentrionale) noto solamente da due iscrizioni (cf. J. Friedrich, Phonizisch-Punische Grammatik, Roma 1951, p. 153), l'araba che ha conservato la vocalizzazione primitiva in modo abbastanza perfetto, l'aramaico ecc. L'e. nella Bibbia è detto linguaggio di Canaan (Is. 19, 18), e difatti non è che la lingua cananea che gli Ebrei trovarono al loro ingresso in Palestina e che da loro fu lentamente assimilata, e trasformata. Questa lingua cananea, che rappresenta quasi il protoebraico, è conosciuta in parte dalle glosse cananee che sono inserite nelle lettere di el-Amarna, scritte in lingua acca. dica da principi fenici e palestinesi ai faraoni Amenophis III e IV (sec. XV a. C.). Dato l'uso dei segni cuneiformi che possono rappresentare anche le vocali, siamo in grado di conoscere anche la vocalizzazione delle parole cananee. Possiamo qui ricordare almeno: 1) il passaggio di a in O, fenomeno tipicamente cananeo e poi ebraico (il fenicio non conserva a, ma non è costante nel riprodurre la nuova vocale: cf. Friedrich, op. cit. 79. L'arabo e l'aramaico conservano a); 2) la contrazione di ai in e; così poi anche in e.: 3) la contrazione di aw in o, idem in e.; 4) l'u breve primitivo è conservato in sillaba dove l'e. lo riporta come o medio. Per uno studio di questo cananeo sono di capitale importanza gli articoli di Dhorme, La langue de Canaan (RB, 1913-1914) e il volume di Z. Harris, Development of the Canaanite Dialects, New Haven 1939. L'assimilazione e la trasformazione del cananeo da parte dei sopraggiunti Ebrei dovette procedere per gradi, con lentezza e con documentate differenze dialettali. La Bibbia stessa ci ricorda la differenza di pronuncia dello sin (Iudc 12, 6); dagli ostraca si sa che al nord anno si diceva sat(t), al sud sana(h); vino al nord jin, al sud jajin (cf. CBQ 1954, 28). L'alfabeto usato dagli Ebrei fu fin dopo l'esilio l'alfabeto fenicio, noto fino a pochi anni fa in ambiente ebraico solamente in testi extrabiblici (iscrizione di Mesa e Siloe e nei sigilli - scrittura lapidaria e per. ciò più rigida e angolosa - inoltre iscrizioni su ostraca, scrittura ad inchiostro e perciò più corsiva e morbida). Il passaggio all'alfabeto quadrato avvenne solamente in modo lento dopo l'esilio (s. Girolamo afferma troppo categoricamente che fu Esdra che introdusse il nuovo modo di scrivere). Testi biblici in caratteri fenici erano fino a poco tempo fa ignoti. Le scoperte al Mar Morto ci hanno dato dei frammenti del Levitico in caratteri antichi.
Per tratteggiare lo sviluppo dell'e. non possediamo molti elementi. È noto infatti che la nostra Bibbia è il risultato di un rimaneggiamento pianificatore da parte dei Masoreti. Subito alla prima lettura della nostra Bibbia uno può rendersi conto che è troppo uniforme la lingua di una serie di scritti, che sono da dislocarsi nel lungo periodo di almeno un millennio. Anzi proprio nell'elemento vocalico, che di solito è il più fluttuante in una lingua, specialmente semitica, vi si vede una costanza ed uniformità straordinaria. Ed è qui che intervennero al sommo i masoreti imponendo il loro sistema vocalico: in grado decrescente si ha l'intervento livellatore rispetto alla morfologia, alla sintassi e al lessico. Il periodo aureo della lingua e letteratura e. è quello che va all'incirca dal sec. IX al sec. IV a. C. Di questo periodo sono i pochi testi e. extrabiblici scritti quando la lingua era ancora viva. Essi non differiscono che in piccole sfumature (nella stele di Mesa) dalla lingua dei libri sacri del medesimo periodo.
Ecco ora almeno alcune caratteristiche di tale lingua:
Fonetica, si è già accennato sopra.

Morfologia: 1) l'esistenza dell'articolo ha ignoto all'ugaritico, all'accadico, all'aramaico; 2) la desidenza im al plurale maschile, come in ugaritico e fenicio, mentre l'aramaico e l'arabo (anzi lo stesso moabitico della stele di Mesa) hanno in. Sintassi: il tipico uso dei tempi inversi, per cui in una narrazione di avvenimenti passati si inizia normalmente con una forma verbale equivalente al nostro passato, e si continua con forme che apparentemente sembrano futuri preceduti da Wa, ma con senso di passato, aggiuntavi l'idea di successione tra le diverse azioni. Analogamente per la narrazione di un fatto futuro: si inizia con un futuro, e si continua con una forma apparente di passato preceduta da We. Questo uso è caratteristico del solo e. classico o classicheggiante, tanto che si può dire già decadente e aramaizzante la lingua e. che evita questa peculiarità sintattica. La lingua araba e aramaica non hanno questo uso; nelle altre lingue vicine si trovano degli accenni (per l'ugaritico cf. Gordon, Ugaritic Handbook, 9, 2, Roma 1947; per il fenicio - solo però nel perfetto inverso - cf. Friedrich, op. cit., 266).

Con la deportazione babilonese tutta la vita nazionale subì una scossa terribile. Tra le conseguenze vi fu anche il progressivo abbandono dell'e. quale lingua parlata. Si sostituì con l'aramaico, che esercitò anche un notevole influsso sulle composizioni letterarie e. di quest'epoca (abbandonate le forme classiche dei tempi inversi; si ama preporre il complemento oggetto al suo verbo ecc.). La lingua e. tuttavia rimane la lingua dei ceti colti e delle scuole, che come è noto incentrano tutta la loro attività circa il testo biblico. Anzi quando vogliono comporre scritti di indole più elevata ricorrono alla lingua e., e cercano di imitare la lingua biblica classica. Così sono in ebraico i testi religiosi e giuridici trovati presso il Mar Morto, e che sono del sec. I a. C fino al sec. I d. C. In ebraico è la famosa collezione di quegli scritti che contengono il codice giuridico morale di Israele: la Misna e la Tosephta (tradizioni non conservate nella Misna), che risalgono ai primi secoli dopo Cristo. Notevole però è la differenza della lingua di questi ultimi scritti rispetto ai manoscritti del Mar Morto. L'e. dei manoscritti è praticamente ancora il classico ebraico, mentre l'e. misnico è l'ebraico rabbinico. Questo ammette nuove parole, nuove espressioni, nuove forme morfologiche, e ne introduce molte straniere (dal greco, latino, persiano; arabo, aramaico). (Cf. K. Albrecht, Neuhebraische Grammatik auf Grund der Misna, Munchen 1913).
[P. Bo.]

BIBL. - R. BAUER und P. LEANDER, Historische Grammatik der Hebraischen Sprache (soprattutto nell'introduzione), Ralle 1922; W. BAUMGARTNER. Was wih heute von der hebraischen Sprache und ihrer Geschichte wissen, in Anthropos 35-36 (1941-1942) 593- 616; P. JOUON. Grammaire de l'hébreu biblique. 2a ed. Roma 1947.

Autore: Padre Pietro Boccaccio
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora