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Mercoledi, 24 aprile 2024 - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi)

Immagine


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u questa terra nessuno ha visto né può vedere Dio Padre: egli si fa conoscere nelle sue immagini (cfr. Gv 1, 18). Prima della rivelazione completa Che ha fatto di se stesso attraverso l‘immagine per eccellenza Che è il suo Figlio Gesù Cristo, egli ha incominciato nell‘antica alleanza a far risplendere dinanzi agli uomini la sua gloria rivelatrice. La sapienza di Dio, «pura emanazione della sua gloria» e «immagine della sua eccellenza» (Sap 7, 25 s), rivela già taluni aspetti di Dio; e l‘uomo, creato con il potere di dominare la natura e col dono dell‘immortalità, costituisce già un‘immagine vivente di Dio. Tuttavia la proibizione delle immagini nel culto di Israele esprimeva Come per contrasto la serietà di questo titolo dato all‘uomo, e preparava per via negativa la venuta dell‘uomo-Dio, sola immagine in cui si rivela pienamente il Padre.

I. LA PROIBIZIONE DELLE IMMAGINI

Questo precetto del decalogo (Deut 27, 15; Es 20, 4; Deut 4, 9-28), applicato d‘altronde Con più o meno rigore nel Corso dei secoli, costituisce un fatto facile da giustificare quando si tratta dei falsi dèi (idoli), più difficile da spiegare quando si tratta delle immagini di Jahve. Gli autori sacri, abituati agli antropomorfismi, non intendono reagire principalmente contro una rappresentazione sensibile, ma vogliono piuttosto lottare contro la magia idolatrica e preservare la trascendenza di Dio. Dio non manifesta la sua gloria attraverso vitelli d‘oro (Es 32; 1 Re 12, 26-33) e immagini fatte dalla mano dell‘uomo, ma attraverso le opere della sua creazione (Os 8, 5 s; Sap 13; Rom 1, 1923), e non si lascia piegare per mezzo di immagini di cui l‘uomo dispone a piacere suo, ma esercita la sua azione salvatrice liberamente attraverso i Cuori, mediante la sapienza, mediante il Figlio suo.

VT

II. L‘UOMO, IMMAGINE DI DIO

L‘importanza di questa espressione non deriva tanto dalla parola stessa, già usata a proposito della Creazione dell‘uomo in poemi babilonesi ed egiziani, quanto dal Contesto generale del VT: l‘uomo non è fatto ad immagine di un dio, esso stesso concepito ad immagine dell‘uomo, ma di un Dio trascendente a tal punto che è proibito farne una immagine; soltanto l‘uomo può avanzare pretese a questo titolo che esprime la sua dignità più alta (Ger 9,6). Secondo Gen 1,26-29, essere ad immagine di Dio, a sua somiglianza, implica il potere di dominare su tutte le creature della terra ed anche, a quanto pare, il potere, se non di creare, almeno di procreare esseri viventi (Gen 1, 27 s; 5, 1 ss; cfr. Lc 3, 38). I testi del VT sviluppano ordinariamente il primo tema, del dominio (Sal 8; Eccli 17). Nello stesso tempo la nozione di immagine di Dio, sia Che in questi testi venga utilizzata esplicitamente oppure no, si arricchisce di precisazioni e di complementi. Nel Sal 8 sembra identificata con uno stato di «gloria e di splendore, di poco inferiore (a quello) di un essere divino». In Sap 2, 23, l‘uomo non è più fatto soltanto «ad» immagine di Dio, espressione imprecisa Che lasciava la porta aperta a talune interpretazioni rabbiniche, ma è propriamente «immagine» di Dio. Infine, in questo stesso passo, un elemento importante di rassomiglianza tra Dio e l‘uomo è diventato esplicito, Cioè: l‘immortalità. Quanto al giudaismo alessandrino (cfr. Filone) esso distingue due creazioni secondo i due racconti della Genesi: solo l‘uomo Celeste è creato secondo l‘immagine di Dio, l‘uomo terrestre è tratto dalla polvere. Questa speculazione sui due Adamo sarà ripresa e trasformata da S. Paolo (1 Cor 15). NT Non soltanto il NT applica più volte all‘uomo l‘espressione «immagine di Dio» (1 Cor 11, 7; Giac 3, 9), ma molto spesso ne utilizza e ne sviluppa il tema. Così il comando di Cristo: «Siate perfetti com‘è perfetto il vostro Padre Celeste» (Mt 5, 48) appare come una conseguenza ed una esigenza della dottrina dell‘uomo immagine di Dio. Lo stesso vale per una frase attribuita a Cristo e riferita da Clemente Alessandrino: «vedere il tuo fratello è vedere Dio»; convinzione che impone il rispetto degli altri (Giac 3, 9; cfr. Gen 9, 6) e pone il fondamento del nostro amore verso di essi: «Chi non ama il fratello che vede, non potrebbe amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). Ma questa immagine imperfetta e peccatrice, Che è l‘uomo, ha bisogno di un superamento, abbozzato dalla sapienza vetero-testamentaria, realizzato da Cristo.

III. LA SAPIENZA, IMMAGINE DELL‘ECCELLENZA DI DIO

L‘uomo è soltanto un‘immagine imperfetta, la sapienza invece è «uno specchio senza macchia dell‘attività di Dio, un‘immagine dell‘eccellenza di Dio» (Sap 7, 26). Poiché essa esiste «fin dall‘inizio, prima della origine della terra» (Prov 8, 23), se ne può concludere Che presiedette alla Creazione dell‘uomo. Di qui si comprendono talune speculazioni del giudaismo alessandrino, di cui si ritrovano echi in Filone. Per quest‘ultimo l‘immagine di Dio, Che è il Logos, è lo strumento di cui Dio si è servito al momento della creazione, l‘archetipo, l‘esemplare, il principio, il figlio primogenito, secondo il quale Dio ha creato l‘uomo.

IV. CRISTO, IMMAGINE DI DIO

Questa espressione si trova soltanto nelle lettere di Paolo, tuttavia l‘idea non manca nel vangelo secondo S. Giovanni. Tra Cristo e colui che lo manda, tra il Figlio unico Che rivela il Padre suo ed il Dio invisibile (Gv 1, 18), l‘unione è tale (Gv 5, 19; 7, 16; 8, 28 s; 12, 49) da supporre qualcosa di più Che una semplice delegazione: la miss-one di Cristo supera quella dei profeti per accostarsi a quella della‘°parola e della sapienza divina; suppone che Cristo sia un riflesso della gloria di Dio (Gv 17, 5- 24); suppone tra Cristo ed il Padre suo una rassomiglianza che è chiaramente espressa in questa affermazione, in cui si ritrova, se non la parola, almeno il tema dell‘immagine: «Chi ha visto me, ha visto il Pacare» (Gv 14, 9). S. Paolo, pur servendosi, a proposito dell‘uomo, della dottrina della Genesi (1 Cor 11, 7), sa pure all‘occasione servirsi delle interpretazioni rabbiniche e filoniane dei due Adamo, che qui applica a Cristo stesso (1 Cor 15, 49), ed in seguito all‘uomo nuovo (Col 3, 10). Ma infine riconosce a Cristo il titolo di immagine di Dio alla luce della sapienza, immagine perfetta (2 Cor 3, 18 - 4, 4). Senza abbandonare queste diverse fonti di ispirazione, Paolo in seguito si sforza di precisare ancor meglio il mistero di Cristo: Cristo è immagine per filiazione in Rom 8, 29. E secondo Col 3, 10 presiede, in quanto immagine, alla creazione dell‘uomo nuovo. Beneficiando di questa convergenza di elementi antichi e di dati nuovi, la nozione di immagine di Dio, che Paolo applica a Cristo, specialmente in Col 1, 15, diventa molto Complessa e ricca: rassomiglianza, ma rassomiglianza spirituale e perfetta, mediante una filiazione anteriore alla creazione; rappresentazione, nel suo senso più stretto, del Padre invisibile; sovranità cosmica del Signore, Che segna della sua impronta il mondo visibile ed il mondo invisibile; immagine di Dio secondo l‘immortalità: primogenito di tra i morti; sola ed unica immagine che assicura l‘unità di tutti gli esseri e l‘unità del disegno divino: principio della Creazione e principio della sua restaurazione mediante una nuova creazione.

V. IL CRISTIANO TRASFORMATO SECONDO L‘IMMAGINE DI CRISTO

Tutti questi elementi rappresentano altrettante forze di attrazione sull‘uomo, che, immagine imperfetta e peccaminosa, ha bisogno di quell‘immagine perfetta che è Cristo per ritrovare e realizzare il proprio destino originale: dopo aver rivestito l‘immagine dell‘Adamo terrestre, gli è necessario, infatti, rivestire l‘immagine dell‘Adamo celeste (cfr. 1 Cor 15,49). Tra queste due «immagini», unite in uno stesso ed unico disegno divino (cfr. Rom 8, 29; Ef 1, 3-14), esiste quindi nello stesso tempo un legame nascosto, una frattura provocata dal peccato, e una relazione dinamica. Questo dinamismo si rivela anche e soprattutto nel cristiano: divenuto fin d‘ora uno stesso essere Con Cristo (Rom 6, 3-6; Col 3, 10), è figlio di Dio (1 Gv 3, 2) e, sotto l‘azione della grazia, si trasforma di gloria in gloria in questa immagine del Figlio, primogenito di una moltitudine di fratelli (2 Cor 3, 18; Rom 8, 29). La conclusione di questo processo di glorificazione è la risurrezione, che Consente al cristiano di rivestire definitivamente l‘ímmagine dell‘Adamo celeste (1 Cor 15, 49) e di conformare «il nostro corpo di miseria al suo corpo di gloria» (Fil 3, 21).

Autore: P. Laniarche
Fonte: Dizionario teologico biblico