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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Feste


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In tutte le religioni la festa è un elemento essenziale del culto: mediante Certi riti fissati in certi tempi, l‘assemblea fa omaggio, ordinariamente nella gioia, di questo o di quell‘aspetto della vita umana; rende grazie ed implora il favore della divinità. Ciò che caratterizza la festa nella Bibbia è il suo legame Con la storia sacra, perché mette in contatto con Dio che agisce incessantemente per i suoi eletti; tuttavia queste feste hanno radici nel terreno comune dell‘umanità.

VT

I. ORIGINE DELLE FESTE EBRAICHE

Il ritorno del Ciclo lunare, che delimitava il mese israelitico, diede luogo Con tutta naturalezza a feste: talvolta la luna piena (Sai 81, 4), ordinariamente la luna nuova (neomenia: 1 Sam 20, 5; 2 Re 4, 23; Am 8, 5), infine il sabato Che ritma la settimana (Es 20, 8- 11). Il ciclo solare riportava la festa del nuovo anno, conosciuta da tutte le civiltà; essa fu unita da prima alla festa del raccolto in autunno (Es 23,16), poi alla Pasqua della primavera (Es 12, 2); da questa liturgia derivano taluni riti del giorno dell‘espiazione (cfr. Lev 16). Oltre alla Cornice formata dal ritmo degli astri, la vita quotidiana dell‘ebreo, prima pastore e poi agricoltore, determinò feste che tendono a confondersi con le precedenti. In occasione della Pasqua, festa pastorale della primavera, aveva luogo l‘offerta delle primizíe del gregge; il lavoro della terra diede origine a tre grandi feste annuali: azzimi in primavera, messi o settimane in estate, raccolto o vendemmia in autunno (Es 23, 14-17; 34, 18. 22). Il Deuteronomio unisce la Pasqua agli azzimi e dà alla festa del raccolto il nome di festa dei tabernacoli (Deut 16,1-17). Taluni riti delle feste attuali non si possono comprendere se non in ragione dei loro addentellati pastorali od agricoli. Dopo l‘esilio apparvero alcune feste secondarie: Purim (Ese 9, 26; cfr. 2 Mac 15, 36 s), Dedicazione e giorno di Nicanore (1 Mac 4, 52-59; 7, 49; 2 Mac 10, 5 s; 15, 36 s).

II. SENSO DELLE FESTE EBRAICHE

Le diverse feste assumono un senso nuovo in funzione del passato che ricordano, del futuro che annunciano, del presente di cui rivelano l‘esigenza.

1. Celebrazione riconoscente dei grandi fatti di Jahve. - Israele celebra il suo Dio a diversi titoli. Il creatore è Commemorato ogni sabato (Es 20, 11); il liberatore dall‘Egitto è presente non soltanto nel giorno di sabato, ma anche quando si celebra la Pasqua (Deut 5, 12-15; 16, 1); la festa dei tabernacoli ricorda le marce nel deserto e il tempo del fidanzamento Con Jahve (Lev 23, 42 s; cfr. Ger 2,2); infine il tardo giudaismo collegò alla festa delle settimane (in greco, Pentecoste) il dono della legge al Sinai. Cosi le feste agricole diventavano feste commemorative: nella preghiera dell‘ebreo, Che offre le sue primizie, s'innalza il ringraziamento per i doni della terra e per i grandi fatti del passato (Deut 26, 5-10).

2. Anticipazione gioiosa del futuro. - La festa attualizza in una speranza autentica il termine della salvezza; il passato di Dio assicura il futuro del popolo. L‘esodo commemorato annunzia e garantisce un nuovo esodo: un giorno Israele sarà definitivamente liberato (Is 43, 15-21; 52,1-12; 55, 12 s), il regno di Jahve si estenderà a tutte le nazioni Che saliranno in pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa dei tabernacoli (Zac 14, 16- 19). Il popolo sia dunque «tutto nella gioia» (Sal 118; 122; 126): non è forse in presenza di Dio (Deut 16, 11-15; Lev 23,40)? 3. Esigenze per il presente. - Ma questa gioia non è autentica se non emana da un cuore contrito e purificato; gli stessi salmi di gioia ricordano queste esigenze: «O popolo mio, se tu potessi ascoltare!», si dice in occasione della festa dei tabernacoli (Sal 81, 9 ss). Più precisamente, la festa della espiazione dice il desiderio di una conversione profonda attraverso confessioni Collettive (Sal 106; Neem 9,5-37; Dan 9,449). Dal canto loro i profeti non cessano di protestare Contro la sicurezza illusoria che può dare una liturgia gioiosa Compiuta da cuori infedeli: «Io odio e disdegno le vostre feste...» (Am 5, 21; cfr. Os 2, 13; Is 1, 13 s). Con questi oracoli apparentemente distruttori non si fa appello alla soppressione reale delle feste, ma alla pienezza del loro significato: l‘incontro Con il Dio vivente (Es 19,17).

NT

I. DALLE FESTE EBRAICHE ALLA FESTA ETERNA

Senza dubbio Gesù ha osservato le feste ebraiche del suo tempo, ma mostrava già Che soltanto la sua persona e la sua opera conferivano loro un pieno significato: così per la festa dei tabernacoli (Gv 7, 37 ss; 8, 12; cfr. MI 21, 1-10 par.) o per la dedicazione (Gv 10, 22-38). Soprattutto egli ha deliberatamente suggellato la nuova alleanza del suo sacrificio in una cornice pasquale (Mt 26, 2. 17 ss. 28 par.; Gv 13,1; 19,36; 1 Cor 5,7s). Con questa Pasqua nuova e definitiva Gesù ha pure realizzato il voto della festa della espiazione, perché il suo sangue dà - accesso al vero santuario (Ebr 10,19) ed alla grande assemblea festiva della Gerusalemme celeste (12,22s). Ormai la vera festa si celebra in cielo. Con le palme in mano, Come nella festa dei tabernacoli (Apoc 7,9), la folla degli eletti redenti dal sangue del vero agnello pasquale (5, 8-14; 7,10-14) canta un cantico sempre nuovo (14, 3) a gloria dell‘agnello e del Padre suo. La festa di Pasqua è diventata la festa eterna del cielo.

II. LE FESTE CRISTIANE

Se la Pasqua Celeste ha riportato alla sua unità escatologica la molteplicità delle feste ebraiche, Conferisce ormai un senso nuovo alle molteplici feste della Chiesa in terra. A differenza delle feste ebraiche, esse commemorano un fatto avvenuto una volta per sempre, che ha valore di eternità; ma al pari delle feste ebraiche, le feste cristiane rimangono soggette al ritmo del tempo e della terra, pur collegandosi ai fatti principali della esistenza di Cristo. La Chiesa, se pur deve stare attenta a non conferire un valore eccessivo alle sue feste (cfr. Gal 4, 10), che rimangono anch‘esse l‘ombra della vera festa (cfr. Col 2, 16), non ha da temere la molteplicità delle feste. Essa concentra anzitutto la celebrazione nel mistero pasquale commemorato nell‘eucaristia che raduna la comunità alla domenica, giorno della risurrezione del Signore (Atti 20, 7; 1 Cor 16, 2; Apoc 1, 10). Punto di partenza della settimana di cui il sabato era il termine, la domenica segna la novità radicale della festa cristiana, festa unica la cui irradiazione illumina l‘intero anno, e 1a Cui ricchezza si sviluppa in un Ciclo festivo centrato sulla Pasqua. Essa potrà in seguito ritrovare i cicli naturali (ad es. le quattro tempora) evocando le ricchezze del suo patrimonio ebraico; Ciò avverrà sempre attualizzandolo con il fatto di Cristo ed orientandolo secondo il mistero della festa celeste eterna.

Autore: D. Sesbocù e M.F. Lacan
Fonte: Dizionario teologico biblico